A cura di Reggie Nadelson, The New York Times
In questa serie per T, l’autrice Reggie Nadelson rivisita i luoghi di New York che hanno definito la moda per decenni, da rinomati ristoranti a bar sconosciuti.
La domenica sera, quando la band di casa suona il jazz all’Ear Inn, (un bar vicino lo Hudson sulla Spring Street) l’intero edificio trema. Nei piccoli appartamenti ai piani superiori, che una volta erano la casa del primo proprietario del locale, ed ora sono usati per eventi occasionali, vecchie taniche di gin olandese, pesanti bottiglie di champagne e alambicchi di farmacisti risalenti al XVIII secolo tremano. Questo edificio, con i suoi pavimenti inclinati e le scale che sfidano la morte, risale al 1770. Ha ospitato un bar ininterrottamente dal 1817. Nei primi tempi l’acqua sfiorava la porta d’ingresso, che era a solo un metro dal fiume. L’Ear è un luogo amabile: c’è buona musica, buona compagnia, buoni drink e cibo. Ondate di clienti vanno e vengono durante il giorno, inclusi i turisti, ovviamente. Quando ci sono andata in Ottobre, ho sentito una donna sottolineare con accento tedesco: “Il mio libro dice che questo è l’ultimo posto autentico di New York.” All’ora di pranzo ci sono degli editori che vengono dall’ufficio della Penguin Books dietro l’angolo, la gente del posto, e alcuni dirigenti della sede UPS dall’altra parte della strada. Poi arriva la folla con i cocktail: un gruppo di circa venti persone che si riunisce sul marciapiede con il bel clima e gli abitanti dei nuovi splendidi condomini del quartiere.
The Earregulars, la band abituale dell’Ear Inn, attira la folla di domenica sera. Nina Westervelt
“Ormai ci sono solo persone che portano a spasso i cani e che fanno jogging, in questa zona” dice Richard “Rip” Hayman (noto alla marina mercantile degli Stati Uniti come il capitano Richard Perry Hayman) che ha co-posseduto l’Ear con Martin Sheridan, il suo socio nell’impresa, dagli anni ’70. “La sera, puoi sentire l’odore del Botox”, aggiunge Hayman con un sarcasmo benevolo. Nel suo ritmato accento irlandese, Sheridan nota che durante la recente settimana della moda, con gli show che si svolgevano nelle vicinanze, “Le modelle vagavano come dei pavoni perduti sui loro tacchi alti”. Con i suoi cordiali proprietari, la sua musica e le letture di poesia, l’Ear ricorda un piacevole pub irlandese (e ci sono abbastanza birre da soddisfare ogni appassionato). Ma ciò che decreta il successo di questo luogo è l’essere una testimonianza vivente della storia di New York, l’elettrizzante racconto di una città che crea se stessa. Inevitabilmente ci sono dei fantasmi.
Fantasmi di marinai portoghesi che sono arrivati a New York ancor prima degli olandesi; degli olandesi che bevevano champagne con le ostriche, lasciandosi alle spalle le vecchie bottiglie; di Thomas Cooke, il birraio che gestiva il locale alla fine del XIX secolo, quando il lungomare era esploso per il traffico, le navi, le merci, i passeggeri, e tutti erano alla ricerca di qualcosa da bere; dei lavoratori portuali della metà del XX secolo.
“Ancora ai miei tempi, potevi sentire l’odore del caffè e delle spezie arrivare dalle navi” dice Hayman. Quando lui e Sheridan comprarono il locale negli anni ’70, era ancora un bar per gli scaricatori di porto, dove i ragazzi che non avevano ottenuto un impiego per scaricare le navi (avete presenti le scene di “Fronte del porto”) bevevano dalle cinque del mattino fino a mezzogiorno. I clienti si arrabbiarono molto quando i nuovi proprietari buttarono il tavolo da biliardo e il jukebox, cambiando il modus operandi del locale, introducendo cibo e civiltà.
L’Ear nell’1973. Immagine per cortesia dell’ Ear Inn
La memorabilia fa da protagonista negli interni dell’Ear. Nella stanza frontale c’è un bar con le bottiglie sul retro, cappelli da baseball appesi in alto ed un dipinto dell’edificio quando affacciava direttamente all’Hudson River. Le pareti sono ricche di vecchie insegne di birra, fotografie, ritagli di giornali. Scarabocchiati su una lavagna ci sono le specialità del giorno; oggi ci sono le costolette di manzo brasato, lo shepherd’s pie e l’halibut con burro al limone. Al bar lo Chef Ng Fonglum offre hamburger di agnello piccati, gamberi e i migliori ravioli di questo lato di China Town. Tutto è fresco, la maggior parte dei prodotti arrivano direttamente dalla fattoria di Hayman, e niente è fritto.
Durante il pranzo, con una zuppa cremosa, ottimi cheeseburgers, la Guiness per Sheridan e la Goose Island IPA per Hayman, i due uomini ricordano i loro primi giorni passati all’Ear. L’artista Shari Dienes abitava al piano di sopra; quando Hayman voleva comprare l’Ear, lei vendette un dipinto di Rauschenberg per aiutarlo economicamente. John Lennon frequentava il bar, e Allen e Ginsberg recitava i suoi lavori alle letture di poesia. L’insegna rossa al neon invitava tutti ad entrare.
Hayman ritiene che l’insegna sia originale degli anni ’30, post proibizionismo. La Landmarks Preservation Commission rifiutò qualsiasi aggiunta al suo aspetto originale ma non ebbe problemi ad accogliere una ‘sottrazione’ (le parti curve luminose della lettera “B” sono state coperte) ed ecco che “Bar” divenne “Ear”. L’insegna Ear Inn diventò una sorta di faro, una luce in quello che era un angolo desolato della città negli anni ’70, e persino negli anni ’80, dove i senzatetto si scaldavano con i bidoni incendiati. “Ero solito portare loro dei sacchi di patate da arrostire” dice Sheridan. Era un luogo, spaventoso ed elettrizzante: un buon posto per un omicidio o una rissa.
Il telefono all’Ear. Nina Westervelt
La memorabilia appesa alle pareti dell’Ear. Nina Westervelt
In fondo alla strada, forse a sei minuti a piedi, c’è il luogo dove sorgeva Richmond Hill. La tenuta coloniale servì da quartier generale per George Washington durante la Battaglia di Long Island. Più tardi appartenne ad Aaron Burr che se ne andò nel 1804 per prendere parte al fatale duello con Alexander Hamilton, (da qui il musical “Hamilton”). A quei tempi, la zona faceva ancora parte del villaggio agricolo di Greenwich. Nel 1817, fu formalmente incorporata nella città di New York e da quel momento tutto cambiò.
Quello stesso anno, al civico 326 di Spring Street fu aperto il bar. Fu anche l’anno in cui iniziò la costruzione del canale Erie e di conseguenza il porto di New York esplose. Oltreoceano, Beethoven, Shelley e Byron erano a lavoro. Quello stesso anno morì anche Jane Austen.
Quando la costruzione del condominio accanto all’Ear iniziò nel 2006, (è stato l’ultimo progetto di Philip Johnson, noto come l’Urban Glass House) le fondamenta della taverna vennero scavate e stabilizzate. “Hanno scavato per circa due metri” dice Hayman, e hanno trovato “ampolle da farmacista per elisir e pomate, frammenti del molo originale dell’Hudson e scheletri di animali”
Sheridan ha aggiunto che la New York Historical Society, che ha ricevuto gli artefatti, ha detto che è stata la miglior scoperta che hanno avuto in cento anni.
L’Ear è a volte conosciuto come la James Brown House, e questa è la migliore storia di tutte anche se solo in parte vera (questa parte della città non è mai stata di grande interesse per nessuno, quindi è rimasta inalterata facendo crescere le sue leggende.) James Brown, si dice, fu un aiutante di campo afroamericano di George Washington nella Guerra Rivoluzionaria e potrebbe essere anche il personaggio raffigurato in un dipinto di Emanuel Leutze intitolato “Washington Crossing the Delaware”. Una volta congedato, Brown fece costruire la sua casa nel 1770 e abitò lì come un ricco tabaccaio e farmacista fino alla sua morte.
Intorno al 1985, gli attuali proprietari dell’Ear invitarono l’altro James Brown, che in quei giorni stava suonando nei quartieri a nord, ad esibirsi. Sheridan ci racconta che arrivò un messaggio: “Brown disse che non poteva venire e che il pollo fritto a New York era così cattivo che sarebbe tornato in Georgia.”
Nel tardo pomeriggio all’Ear: Al bancone ci sono alcuni amici e un ex-poliziotto. Dopo un’altra pinta di birra Sheridan giura che entrambe le storie sui James Brown sono vere, più o meno. Ma io credo a tutto. L’Ear è quel tipo di posto. Accende la narrazione; sveglia i fantasmi.