A cura di Amy Plitt
Nel 1943 venne commissionato a Frank Lloyd Wright un compito che lo avrebbe portato a realizzare uno dei suoi più famosi lavori: il Solomon R. Guggenheim Museum, che ad oggi rimane l’unico edificio pubblico di Wright situato all’interno dei cinque quartieri. Sebbene il critico di architettura Paul Goldberger l’abbia definito una volta “l’edificio assolutamente sbagliato nel posto sbagliato” una cosa è certa: il Guggenheim fu, al suo debutto nel 1959, una rivelazione che stravolse l’idea di museo sotto molti punti di vista, e ancora oggi non è paragonabile a nessun altro edificio.
Il filantropo Solomon R. Guggenheim e l’artista e sua consulente artistica Hilla Rebay (che divenne anche la prima direttrice del museo) scelsero l’architetto in base alla sua reputazione; Wright era alla fine della sua carriera ed aveva già realizzato edifici storici come lo Unity Temple e il Bear Run all’Oak Park ed il Fallingwater in Pennsylvania. C’era solo una clausola da parte dei cofondatori: “l’edificio doveva essere diverso da qualsiasi altro museo nel mondo.”
Frank Lloyd Wright sulla balconata del Museo Guggenheim durante la costruzione nel 1959.
William H. Short/Courtesy Solomon R. Guggenheim Museum Archives.
I sedici anni trascorsi, da quando Wright ottenne l’incarico a quando l’edificio venne aperto, furono burrascosi. Successe di tutto, a cominciare dall’incomprensibile codice edilizio di New York e, non ultima, la morte di Guggenheim, a mettere i bastoni tra le ruote. Wright stesso morì nell’Aprile del 1959, sei mesi prima che il museo aprisse al pubblico.
Dunque come ha potuto il museo arrivare ad esistere? È una lunga storia, troppo lunga per essere trattata per esteso (ma sono stati scritti libri interi sull’argomento). È anche una storia che Wright avrebbe preferito non avesse luogo a New York. A lui non importava molto della città. In una lettera del 1949 al suo amico e collaboratore Arthur Holden, scrisse “Riesco a pensare a tantissimi posti migliori dove costruire il suo grande museo, ma dovremo farlo a New York.”
Ma come lo stesso Guggenheim farà notare, l’ubicazione definitiva del museo sulla Fifth Avenue tra l’88esima e la 89esima strada, fu una fortuna per Wright grazie al vicinissimo Central Park.
La vicinanza con Central Park è stata fondamentale; il parco offre sollievo dal rumore e dal traffico della città. La natura non solo ha fornito al museo una pausa dalle distrazioni di New York ma ha anche offerto ispirazione. Il Guggenheim Museum è l’incarnazione dei tentativi di Wright di incorporare le forme organiche con l’architettura.
L’ossessione di Wright per la natura e le sue forme organiche è evidente in tanti dei suoi lavori più famosi come Fallingwater, chiamato così per il fatto di essere situato in cima ad una cascata (con l’acqua che cade che diviene caratteristica della casa esattamente quanto lo è la roccia arenaria di Pottsville, usata per costruire l’edificio).
Anche se il Guggenheim non è l’esempio più calzante, dato che non si può vedere Central Park dall’interno, è stato comunque ideato in modo analogo. La luce inonda lo spazio da un grande lucernario arroccato in cima; il design circolare, invece, è stato ispirato più dalla natura che dalle tipiche forme degli edifici (una volta Wright disse che il progetto finito avrebbe fatto sembrare il Metropolitan Museum of Art, situato a sette isolati a sud, un “granaio protestante”)
Uno schizzo del mai realizzato Gordon Strong Automobile Objective nel Maryland .
The Frank Lloyd Wright Foundation Archives (The Museum of Modern Art | Avery Architectural & Fine Arts Library, Columbia University, New York)
L’architetto, per questo progetto, prese perfino spunto da un suo precedente lavoro. Il Gordon Strong Automobile Objective era un’attrazione turistica che Wright progettò, senza alcuna commissione, negli anni ’20 ed il suo aspetto era straordinariamente simile a quello del Guggenheim: i visitatori venivano condotti verso la cima della montagna Sugarloaf nel Maryland, seguendo poi un sentiero a spirale per ritornare giù. A prima vista non sembrerebbe un’attrazione turistica ma Wright finì col copiare il progetto e ribaltarlo per realizzare il museo.
Alcuni dicono che il Guggenheim abbia la forma di un guscio di conchiglia a spirale; altri dicono che è più simile ad un nastro di cemento o ad una ziggurat ribaltata. Ma, a prescindere da come la si voglia chiamare, l’aspetto finale, risultato di diverse modifiche e più di 200 schizzi, è un qualcosa di unico a Manhattan. Ciò spiegherebbe perché, come dice lo studioso di Wright, William Allin Storrer nel suo libro The Architecture of Frank Lloyd Wright, “Il superamento delle limitazioni del codice edilizio di New York richiese più tempo rispetto alla progettazione e alla costruzione”
Qui è come ne parla la commissione per la tutela dei beni culturali nel rapporto sul museo del 1990 :
A causa del singolare aspetto del progetto, quando arrivò per la prima volta alle autorità municipali nel 1952, ricevette contestazioni a 32 regolamenti edilizi. Quando il numero delle contestazioni scese a circa quindici, i progetti vennero inoltrati al Board of Standards and Appeals (di seguito indicato come BSA) per le variazioni necessarie. Dopo un lungo periodo di revisioni al progetto la BSA approvò il lavoro e nel 1956 il dipartimento per gli alloggi e gli edifici emise un permesso.
Quattro anni dalla presentazione iniziale del progetto all’approvazione sembrano tanti vero? E questo era solo il culmine dei problemi finanziari che il piano aveva già affrontato, sommato al fatto che dopo la morte di Solomon R. Guggenheim la nuova direzione del museo non era molto entusiasta del progetto di Wright. Alla fine però tutto si sistemò per il meglio e la costruzione ebbe inizio nel 1956.
Ma anche se la città diede la sua approvazione al Guggenheim, le persone che in teoria avrebbero dovuto essere le più coinvolte dall’edificio, ovvero gli artisti, si mobilitarono contro di esso. Nel 1956 ventuno artisti inclusi Franz Kline, e Willem de Kooning inviarono una lettera alla Fondazione Guggenheim evidenziando i loro problemi con il progetto di Wright, notando che la forma a spirale non era “adatta per una comprensibile esposizione di pittura e scultura.” (erano anche irritati dal fatto che l’edificio potesse sopraffare l’arte al suo interno. E non avevano tutti i torti!)
Wright rispose alla sua maniera: stando ad un articolo del New York Times del 1959:
“Comprendo abbastanza bene il demonio del vizio che affligge le vostre menti per capire che voi tutti conoscete troppo poco la natura della madre di tutte le arti: l’architettura”.
La costruzione continuò negli anni successivi con Wright che visse in una suite del Plaza Hotel per cinque anni consecutivi, durante i lavori. Ma Wright, purtroppo, non vide mai il progetto ultimato. Nel 1959 morì, all’età di 89 anni, dopo aver subito un intervento chirurgico a Phoenix, in Arizona.
Il Guggenheim nell’ottobre del 1959, il giorno prima dell’apertura al pubblico.
Harry Harris/Associated Press
Il Guggenheim avrebbe aperto sei mesi dopo con consensi e rancori. Il presidente dell’epoca Dwight D. Eisenhower lo definì “un simbolo della nostra libera società che accoglie nuove forme di espressione dello spirito creativo umano”, invece il critico Lewis Mumford, un amico di Wright, lo definì “Un fallimento monumentale per Wright e di cattivo gusto” in una recensione del 1959 sul New Yorker.
Eppure nonostante queste sfide, e le polemiche iniziali che hanno riguardato la struttura, il Guggenheim è diventato uno dei musei più popolari della città di New York, che attira più di un milione di visitatori ogni anno. Quasi certamente la maggior parte delle persone stanno lì più per l’edificio che per l’arte al suo interno, che è senza dubbio quello che avrebbe voluto Wright.
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